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book to book 9: Moby Dick in Pictures

Ispirato da uno dei più grandi romanzi del mondo, un giorno dell’agosto 2009 l’artista dell’Ohio Matt Kish ha intrapreso un viaggio epico. Più di centocinquant’anni dopo la pubblicazione originale di Moby-Dick, Kish ha iniziato a illustrare il classico di Herman Melville, creando un’immagine al giorno nei diciotto mesi successivi sulla base di un testo selezionato da ogni pagina dell’edizione in brossura Signet Classics di 552 pagine

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Matt Kish,”I will have no man in my boat,’ said Starbuck, ‘who is not afraid of a whale.” Colored pencil,  ink and marker on found paper, December 19, 2009

Illustrazione tratta da Moby-Dick in Pictures di Matt Kish: One Drawing for Every Page (Tin House, 2011), basato sull’edizione Signet Classics di Moby-Dick

Moby Dick in Pictures, Matt Kish

Gli artisti contemporanei, anche i migliori, i più solidi, hanno un serio problema con la narratività. Tutti vogliono collaborare con scrittori e affini, e qualcuno lo fa per davvero – figure come Tacita Dean e Dominique Gonzalesz-Foerster hanno dialogato con W.G. Sebald ed Enrique Vila-Matas – ma i risultati stentano a scintillare, perlomeno sul piano della vischiosità narrativa, quel meccanismo magico che differenzia la prosa libera dal racconto. Per esempio, la distanza che separa William Burroughs da Hermann Melville: un fantastico autore di frammenti quantistici e uno dei più importanti autori della storia.

E ora, non a caso, esce Moby Dick in Pictures (Tin House Books, 39.95 $), un tentativo encomiabile di comunione profonda e ossessiva tra letteratura e arti visive, grani di parole e grani di visione approntati per l’occasione, pagina dopo pagina, citazione dopo citazione, con un serio approccio votato all’intelligibilità. Ne è responsabile Matt Kish, che nemmeno si considera un artista, ma che per mesi, dal 5 agosto 2009, ha iniziato a pubblicare on line un disegno per ogni pagina di Moby Dick nella versione ufficiale filologica uscita per il centocinquantenario dell’opera. Un disegno per ogni pagina, progressivamente, puntualmente, utilizzando tecniche diversissime e stili antitetici, dalla pittura in acrilico al collage brutale, in un’inconsapevole e strabiliante passacaglia di motivi e figure, forse il più ambizioso tentativo di espressione amatoriale mai realizzato. Ciò che colpisce non è tanto la forza concettuale del progetto (qualcosa di simile era stato approntato per L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon), ma proprio la devozione di Kish per il dettato melvilliano: le sue creazioni folk, da illustratore pazzo d’amore, così simili agli ex-voto di Dino Buzzati per colori e forme, aggiungono sempre qualcosa e non sottraggono nulla. Prendete pagina 335 (373 dell’ed. Adelphi): “Per certi aspetti la veduta fisiognomica più imponente, forse, che si può avere del capodoglio è quella di piena faccia. Questo suo aspetto è sublime”, frase di per sé potentissima, cui tuttavia si accompagna il disegno a inchiostro di un monumento proiettato verso l’alto, a metà fra un obelisco e un osservatorio astronomico, sullo sfondo di un foglio pieno di numeri, sporcato di arancione e di bande-arcobaleno tipo Dark Side of the Moon. Ecco a cosa tende il dialogo fra discipline, al suo meglio – il dovere del testo, e una feconda distrazione su tutto il resto.

 

La copertina del libro